C’era una volta la fiducia

Il film Cento domeniche di Albanese tratta il fallimento delle banche venete e la storia di un over50 alle prese con una vicenda drammatica…

Mentre gli operatori del mercato dei capitali seguono le evoluzioni della finanza sostenibile, dell’euro digitale, e si interrogano per capire come sarà la MiFID III o quale impatti avrà sul settore l’intelligenza artificiale, un film appena arrivato sulle pay TV e uscito nelle sale cinematografiche lo scorso novembre invita gli spettatori a riflettere sul significato di risparmio tradito, cioè sulle conseguenze dei piccoli e grandi default che hanno colpito i risparmiatori italiani nei primi vent’anni del nuovo millennio. Il film è diretto e interpretato da Antonio Albanese.

Il tornio maneggiato con molta abilità all’inizio del film è lo stesso che ha usato Albanese per anni quando era operaio specializzato, cioè quando ancora non aveva intrapreso la strada della comicità e del cinema. 

Convinto di poter contare sui risparmi di una vita quando vuole liquidare le sue obbligazioni per pagare il matrimonio della figlia, il protagonista scopre con stupore di essere stato raggirato dalla sua banca e di aver perso tutto. Sull’orlo del fallimento, infatti, l’istituto di credito ha tramutato in maniera sbrigativa e disonesta le sue obbligazioni “sicure” in azioni speculative e illiquide che via via si sono azzerate nel valore. La sua firma era stata posta in calce al contratto, ma solo perché la banca gli aveva messo pressione e perché gli era stato detto che conveniva fare così. E lui si fidava, e non era certo il tipo che stava a leggersi tutto quello che c’era scritto nel contratto.

Così Antonio, il protagonista è un uomo di mezza età ,ingannato, sbigottito, prigioniero di un abisso di rabbia e vergogna e incapace di reagire, si ritrova da un giorno all’altro spogliato dei suoi averi.

Autobiografia e fiducia sono quindi le parole chiave attraverso le quali leggere l’opera di Albanese, che ha molto in comune con l’attore protagonista, oltre al nome.

Le cento domeniche citate nel titolo sono il tempo che in media un operaio impiegava qualche decina di anni fa per costruire la propria casa, attività a cui normalmente poteva dedicarsi solamente nel fine settimana quando non lavorava in fabbrica. Il film sembra celebrare proprio l’addio a questa classe operaia che ormai non esiste più: stordita dalle rassicurazioni dei privilegiati, dalle lusinghe dei potenti e poi delocalizzata all’estero.

Durante la prima parte del film, le relazioni umane e la fiducia reciproca sembrano essere ancora centrali nella vita delle persone, la parola data vale più di ogni cosa, anche perché in certi paesini di provincia bene o male ci si conosce tutti, e da sempre.  Antonio, infatti, conosce alcuni impiegati della filiale ed è proprio per questo che vede l’istituto con le lenti comode e deformanti della fiducia. Ma è una fiducia malriposta anche per colpa delle logiche di mercato e della spregiudicatezza di certe banche, che iniziano a far ruotare il personale nelle filiali proprio perché nessuno possa costruire un rapporto di fiducia con il cliente. Il protagonista prende a poco a poco coscienza della realtà in un crescendo di drammaticità dove i dialoghi diventano pieni di verità e di strazio.

Sui titoli di coda la dedica è per tutte quelle centinaia di migliaia di persone che hanno perso i loro risparmi a seguito dei crac bancari.

La liquidazione coatta amministrativa delle banche venete a cui si ispira il film, risale al 25 giugno 2017, ma il bubbone esplode nel 2016 quando il valore dei titoli si azzera. I primi forti segnali del dissesto si hanno tra il 2013 e il 2015 quando le authorities scoprono che i bilanci si reggono su gravi irregolarità: molti prestiti sono stati concessi senza le adeguate garanzie, inoltre vengono esercitate pressioni commerciali ai clienti per l’acquisto delle azioni della banca , supportate da modifiche indebite dei loro questionari di profilatura,  in modo tale che i clienti possano apparire competenti in materia finanziaria e comprendere i rischi a cui vanno incontro. E’ così che 87.504 azionisti di Veneto Banca perdono 4,9 miliardi di euro, e 118.994 azionisti di PopVicenza perdono 6,3 miliardi. Contando anche i 200 milioni di bond subordinati, si arriva ad un totale di oltre 11 miliardi.

Prima di essere liquidate le due banche risarciscono la somma di 441 milioni di euro a 121.144  soci che si sono impegnati a non fare causa.

Grazie al Fondo indennizzi risparmiatori (FIR) voluto poi dal Governo vengono recuperati 1,5 miliardi provenienti da conti correnti fermi da 10 anni, che diventano dello Stato per legge e sono destinati al rimborso dei risparmiatori di tutte le banche messe in liquidazione coatta tra il 2015 e il 2018. Tra il 2020 e il marzo 2024 vengono risarciti 84.000 investitori delle due banche venete, per un importo massimo del 40% sulle azioni e del 95% sulle obbligazioni, con un massimale di 100.000 euro per investitore. Restano fuori i “professionisti del settore” e chi ha rivestito ruoli di vertice nelle banche. Ai risparmiatori e soci della Veneto Banca sono arrivati 423.689.440 euro, mentre a quelli di Popolare Vicenza 624.886.903.

Il FIR è servito per risarcire quindi anche i risparmiatori di altri istituti: Banca Etruria, Banca delle Marche, Cassa di risparmio della Provincia di Chieti, Cassa di Risparmio di Ferrara, BBC Banca Brutia, Banca Popolare delle Province Calabre, BCC Paceco, Credito Cooperativo Interprovinciale Veneto Crediveneto, Banca Padovana Credito Cooperativo.

Nel nuovo millennio, la lunga stagione del risparmio italiano tradito era iniziata con il default dei bond Argentina nel 2001, molto diffusi nella Penisola. Poi nel 2002 era fallita l’azienda di conserve Cirio, nel 2003 il colosso alimentare Parmalat e poi l’azienda di articoli sportivi Giacomelli. Nel 2004 era toccato alla holding Fin-Part, che deteneva i marchi della moda come Cerruti. Dopo la crisi sistemica dei subprime era stata la volta di Lehman Brothers, la banca americana che sembrava “too big to fail” i cui titoli obbligazionari erano stati venduti in Italia anche perché avevano un rating Investment Grade e un VaR con oscillazioni contenute, ed erano stati inseriti nella lista dei “Titoli a basso rischio” del Consorzio PattiChiari, marchio che era diventato un vero e proprio riferimento per le reti di vendita di tutte le banche consorziate.  

I risparmiatori italiani nel 2005 erano incappati anche nei “furbetti immobiliaristi” sostenuti da alcune banche (la Popolare Lodi su tutte), in seguito nel Monte Paschi che dopo aver acquistato Antonveneta nel 2008 era colato a picco fino al salvataggio dello Stato, e infine nei titoli di stato della Grecia “ristrutturati” nel 2012.

Una triste cronistoria, dunque, di una stagione dimenticata troppo in fretta dagli operatori di mercato e dall’opinione pubblica, ma che ha lasciato una ferita ancora aperta in tante famiglie che hanno perso soldi e dignità.

Come insegna il film Cento domeniche, quando una banca fallisce porta via con sé sogni e speranze a lavoratori e clienti con ripercussioni per tutto il sistema bancario, perché dilapida il capitale più prezioso di chi svolge attività creditizia, ovvero la fiducia.

Aris Baraviera, Milano, 30 aprile 2024.

Corrado Montrasi

Author: Cormon

Fino al 2009 mi occupavo solo di finanza. Poi la svolta: la passione per la scrittura e per lo sport mi ha portato a diventare Giornalista Pubblicista collaborando con testate nazionali di running e di wellness. Sempre per queste testate ho curato l'avviamento dei canali Social (FB,Twitter e LinkedIn) e progetti editoriali. Laurea in Teoria delle Comunicazioni. Mi occupo sempre attivamente di Giornalismo e Comunicazione. Sono socio fondatore di Job4anta e Direttore Editoriale.

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